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Quando il dolore nasce da un nervo “incastrato” – l’importanza della neurodinamica

Nell’insegnamento della fisioterapia e delle terapie manuali più in generale, le formazioni si concentrano su molte strutture del sistema muscolo-scheletrico come le ossa, le articolazioni, i muscoli, le fasce, ecc… ma raramente sulle strutture nervose.

Tuttavia, il freno alla mobilizzazione o al movimento può essere di origine neurale. Trattiamo tutte le strutture ma non il nervo o le strutture circostanti. Tutto ciò non è normale nella nostra ricerca diagnostica del deficit della struttura.

In effetti, uno dei ruoli principali dei fisioterapisti o degli osteopati è determinare l’origine del deficit della funzione. In altre parole, qual è la struttura che limita il movimento o qual è la struttura che scatena il dolore.

I terapisti manuali sono nella posizione migliore per stabilire il collegamento tra compromissione strutturale e compromissione della funzione.

Tuttavia, senza la conoscenza del sistema neurale è impossibile determinare un deficit o una disfunzione. Chiedetevi perciò: “Ho una conoscenza anatomica di tutti i nervi del corpo?” ; “Sono in grado di testare i nervi?” ; “Sono in grado di mobilizzarli?” …

Nel caso rispondiate di no a queste domande, non sarete in grado di identificare e diagnosticare un deficit di origine nervosa e quindi di trattarlo.

Nel caso, ad esempio, di una tendinopatia degli estensori radiali del carpo (“gomito del tennista”), se cerchiamo di risolvere tramite una terapia su questi muscoli, il risultato sarà pessimo se il problema è di origine neurale. Infatti, un difetto nel movimento o uno slittamento del nervo, un punto di compressione sul decorso del nervo radiale dal rachide cervicale alla testa radiale può scatenare la tendinopatia degli estensori radiali del carpo.

Solo 10 anni fa, sorridevamo quando un paziente ci diceva di avere un nervo “accavallato”. Eppure, oggi, sappiamo che un nervo può rimanere “incastrato”, limitando perciò scivolamenti e movimenti. Qualsiasi struttura intorno a un nervo ne può limitare la mobilità, come, ad esempio, un osteofita nel forame intervertebrale, un ispessimento di un reticolo, una contrattura o anche un edema o un ematoma (questo elenco non è esaustivo!).

Infine, nel contesto neurale, la nozione di catena è importante. Infatti, una serie di compressioni minori sul decorso di un nervo può scatenare una patologia maggiore a distanza, denominata “double crush syndrome” o “multiple crush”. Pertanto, sarà necessario occuparsi del trattamento dei diversi punti di compressione del nervo incriminato, grazie alla conoscenza anatomica del sistema neurale. Ad esempio, nel quadro di un tunnel carpale, sarà necessario levare i vari punti di compressione, come nel passaggio dello stretto scalenico, a livello della pinza costo-clavicolare, a livello del piccolo pettorale, della testa omerale o nel passaggio dei due capi del pronatore rotondo. 

Questo trattamento sarà ovviamente integrato con una terapia basata sulla tecnica diretta sul nervo, mediante tecniche di mobilizzazione e allungamento dei nervi, tenendo presente che ogni nervo ha la sua tecnica intrinseca come, ad esempio, l’ULNT1 per il nervo mediano.

Per concludere, ci sono molti articoli scientifici che evidenziano l’efficacia delle tecniche neurodinamiche in ambito terapeutico, come sulla nevralgia cervico-brachiale, l’allodinia, il tunnel carpale, la neuraprassia, ecc. ma anche a scopo preventivo. In effetti, uno studio recente ha dimostrato che una serie di scivolamenti neurali è più efficace degli allungamenti statici nel migliorare la flessibilità degli ischio-tibiali.

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